A colloquio con…Nicola Baroni

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A colloquio con…Nicola Baroni

Che cosa è l’ipercello?

La ricerca sugli iperstrumenti è nata all’IRCAM negli anni 80 in collaborazione con scienziati e musicisti americani. In quell’epoca ciò che un computer oggi è in grado di fare in meno di un secondo poteva costituire un processo di ore, per questo gli iperstrumenti furono un autentico balzo verso il futuro. L’idea era quella di creare sistemi in grado di controllare i processi digitali tramite gesti analoghi a quelli degli strumenti tradizionali. La compiuta implementazione di iperstrumenti fu realizzata da Tod Machover all’MIT di Boston nella Hyper-string Trilogy, dove sensori di movimento e metodi di analisi audio sono in grado di interpretare il gesto esecutivo di un solista sul palco, che in questo modo può contribuire attivamente allo sviluppo della parte elettronica di un brano musicale.

Chiunque può elaborare un iperstrumento?

Esatto! Basta che sia armato di competenza e inventiva: si tratta di utilizzare buoni sensori (audio, di movimento o di qualsiasi altra natura) analizzarne i dati con coerenza e in tempo reale, mappandoli a processi compositivi o di sintesi sonora.

Come è nato il bisogno di ampliare elettronicamente il volume del violoncello?

Sono da sempre stato rapito dalle qualità surreali del suono elettronico, non solo come trasformazione creativa del suono, ma come mezzo per dare risalto e nuovo contesto a qualità nascoste dei fenomeni naturali. Dopo alcuni anni di esperienza con il violoncello elettronico mi ritrovo ad apprezzare maggiormente il suono del violoncello tradizionale, ho imparato a dare attenzione a risonanze, intra-modulazioni, componenti audio-tattili: l’elettroacustica è un importante ampliamento della sfera percettiva.

Un bel salto rispetto alla musica di Monteverdi e del periodo barocco con varie tue incisioni discografiche

Mi piace immaginare la sperimentazione elettronica sugli strumenti tradizionali come una “Seconda Pratica”, sono convinto che i mezzi tecnologici e la scienza di oggi ci permettano di creare e comporre musica in modi e con finalità totalmente nuove, senza cancellare o confutare il patrimonio precedente.

Un ulteriore sviluppo per questo strumento, valorizzato nel ‘700 dal “nostro” Boccherini

Fu un musicista geniale, creatore di nuove forme musicali, partendo dalla pratica quotidiana e cameristica, ma anche da un sapiente mix di scuole di pensiero contrastanti…..tipico italiano di vecchia scuola, curiosamente capace di rivoluzionare consolidate prassi internazionali.

Tornando al contemporaneo: parlaci delle tue collaborazioni con “miti” del ‘900 italiano come Bussotti, Donatoni, ecc.

Si è trattato di collaborazioni nelle quali ero (e sono) coinvolto come interprete. Nulla è più naturale che lavorare con musicisti che profondamente sanno ciò che vogliono dire tramite suoni e notazione, trovo grave il fatto che la nostra memoria storica stenti ancora a collocare il loro fondamentale contributo.

Svolgi anche un dottorato di ricerca all’Università di Edimburgo

…che si è appena concluso. Mi sono occupato di gestualità esecutiva e di analisi in tempo reale dei timbri strumentali, con la volontà di offrire al musicista nuovi mezzi di dialogo e di consapevolezza. L’idea è quella di comporre musica in modo interattivo a partire dal gesto musicale dell’esecutore.

Oltre al violoncello insegni le tecniche di improvvisazione presso il conservatorio di Bolzano

Sono convinto che l’improvvisazione sia una strada maestra per aprirci la mente e farci capire a fondo e “sul campo” i linguaggi musicali attuali, passati, etnici….in più la spontanea immersione nel suono ha oggettivi esiti terapeutici, come Scelsi ci insegna. Penso che abbiamo bisogno di riaprirci a una ecologia del fare musica dove inventare e realizzare non siano visti come entità gerarchicamente costituite e in potenziale conflitto.

Tra i giovani c’è più interesse verso il violoncello “classico” o verso quello “elettronico”?

Ho l’impressione che in pochi anni le aspettative dei giovani abbiano preso una direzione nuova. Fino a dieci anni fa proporre percorsi pedagogici inconsueti provocava sospetto tra i giovani studenti classici. Oggi le prospettive professionali per un musicista che esce dal conservatorio sono crollate e la sensazione diffusa è che questo sia un processo definitivo. Per fortuna rimane la risorsa di inventare nuove dimensioni: non è tanto un fatto di tecnologia quanto di ruoli sociali, mi sembra che i giovani siano molto più aperti ai nuovi approcci rispetto alla generazione immediatamente precedente.