CIO CIO SAN (parte seconda)

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CIO CIO SAN (parte seconda)

 

Riprendiamo l’analisi dei personaggi di Madama Butterfly da parte del musicologo Michele Bianchi con l’approfondimento su Cio Cio San diviso in tre parti, dopo la parentesi di novembre dedicata ad una riflessione sul Trittico di  Giacomo Puccini.

 

L’infanzia di Butterfly è stata dunque terribilmente segnata da una gravissima perdita, che ha conseguenze nefaste non solo a livello affettivo ma anche sul versante economico. Alla domanda di Sharpless se è di Nagasaki, Butterfly precisa: «Signor sì. Di famiglia | assai prospera un tempo». Excusatio non petita, accusatio manifesta, recita un saggio proverbio latino. La precisazione di Butterfly non solo non è necessaria, ma è decisamente insolita, mettendo subito ‘in piazza’ una situazione sulla quale, non solo nel Giappone degli inizi ‘900, si stende generalmente un velo pietoso. La stessa Butterfly nota come «nessuno si confessa mai nato in povertà, | non c’è vagabondo che a sentirlo non sia | di gran prosapia». Perché dunque Butterfly «non nasconde né si adonta» per una «cosa del mondo» che può effettivamente succedere? Non si direbbe solo per l’estrema franchezza della ragazza a sottolineare la propria situazione, ma per la sofferenza patita ed introiettata, acuita dall’agiatezza vissuta precedentemente. La prontezza e la precisione della risposta denota dunque l’angoscia vissuta dalla piccola Butterfly per le dissestate finanze familiari.

Costume di Sharpless
Costume di Sharpless

«Sharpless – (Anch’esso interessato dalle chiacchere di Butterfly, continua ad interrogarla.) E ci avete sorelle? Butterfly – No signore. Ho la mamma. Goro – (Con importanza.) Una nobile dama. Butterfly – Ma senza farle torto, | povera molto anch’essa». L’orgoglio della giovane risorge immediatamente, continuando: «[..] Eppur | conobbi la ricchezza. Ma il turbine rovescia | le querce più robuste… e abbiam fatto la ghescia | per sostentarci […]».

Le fonti presuppongono le difficoltà economiche sofferte dalla geisha, e talvolta le sottolineano. Ma mai come nel libretto dell’opera, dove la protagonista è letteralmente ossessionata dalla povertà. Quanto questa sia decisiva in Butterfly è testimoniato dalla chiusura dell’opera. Al trionfale tema ‘della morte’ segue il poco magniloquente tema che si ode in «Che tua madre» sulle parole «la man tremante stenderà» verso le «impietosite genti». «La carità» per povertà erano state provate dallo stesso Puccini in gioventù. Adesso erano esaltate da «Butterfly che con debole gesto indica il bambino e muore».

Il matrimonio nasce dunque già compromesso, ed anche prima del rinnegamento dei suoi parenti, l’unico momento di vera gioia goduto da Butterfly è venato da funesti presagi. In chiusura di «Io seguo il mio destino», dopo «Amore mio!» risuona il leitmotiv della morte, ripresentato dopo che Pinkerton ha spiegato a Butterfly che «Tutta la tua tribù | e i Bonzi tutti del Giappon non valgono | il pianto di quegli occhi | cari e belli». «Sorridendo infantilmente», Butterfly risponde: «Davver?», e risuona così quel leitmotiv. Ella continua, spiegando che «E quasi del ripudio non mi duole | per le vostre parole | che mi suonan così dolci nel cor». Su quest’ultimo verso risuona la coda del leitmotiv ‘della morte’. Con la sua musica Puccini preavverte che quelle parole non hanno un senso così dolce come vorrebbe darci ad intendere la protagonista.

Costume Sketch di Pinkerton
Costume Sketch di Pinkerton

La sfumatura acquista connotati più evidenti poco più avanti:

Pinkerton – Ma intanto finor non l’hai detto, | ancor non m’hai detto che m’ami. | Le sa quella Dea le parole | che appagan gli ardenti desir?

Butterfly – Le sa. Forse dirle non vuole | per tema d’averne a morir!

Pinkerton – Stolta paura, l’amore non uccide, | ma dà la vita, e sorride | per gioie celestiali | come ora fa nei tuoi lunghi occhi ovali. (avvicinandosi a Butterfly e carezzandole il viso)

Butterfly – (Con subito movimento si ritrae dalla carezza ardente di Pinkerton.) | Adesso voi | siete per me l’occhio del firmamento. | E mi piaceste dal primo momento | che vi ho veduto. (Ha un moto di spavento e fa atto di turarsi gli orecchi, come se ancora avesse ad udire le urla dei parenti; poi si rassicura e con fiducia si rivolge a Pinkerton).

Libretto di Madama Butterfly
Libretto di Madama Butterfly

Improvvisamente ed immotivatamente, nel bel mezzo dell’ardente duetto d’amore Butterfly «ha un moto di spavento e fa atto di turarsi gli orecchi, come se ancora avesse ad udire le urla dei parenti». Il ‘profondo’ sta evidentemente facendo opera di demolizione. L’atmosfera di morte è rievocata poco oltre, quando si discute il nome della protagonista:

Pinkerton – Mia Butterfly!… come t’ha ben nomata | tenue farfalla…

Butterfly – (A queste parole si rattrista e ritira le mani.) Dicon che oltre mare | se cade in mano dell’uomo, ogni farfalla | da uno spillo è trafitta | ed in tavole infitta!

 

E così, già nell’apparente sereno primo atto di Madama Butterfly vi sono elementi destabilizzanti che preavvertono un finale tragico.

La prima volta che Butterfly afferma esplicitamente di covare propositi di morte è antecedente ad ogni prefigurazione di allontanamento dal figlio. Precisamente, quando il console le domanda che cosa farebbe «s’ei non dovesse ritornar più mai». Lei risponde che tornerà «a divertir | la gente col cantar, | oppur, meglio, morire». Poco dopo torna con decisione sull’argomento, e l’ambiguità svanisce:

E Butterfly, orribile destino, danzerà | per te! E come fece già | la ghescia canterà! (Rialza il bimbo e con le mani levate lo fa implorare.) | E la canzon giuliva e lieta | in un singhiozzo finirà! | (Buttandosi a’ ginocchi davanti a Sharpless) Ah! No, no! Questo mai! | Questo mestier che al disonore porta! | Morta! Morta! Mai più danzar! | Piuttosto la mia vita vo’ troncar! (Cade a terra vicino al bimbo che abbraccia strettamente ed accarezza con moto convulsivo.) | Ah! Morta!

Madama Butterfly -  Spartito per Canto e Pianoforte
Madama Butterfly – Spartito per Canto e Pianoforte

 

Per quanto impietosito, il console non può pensare che la ragazza parli ‘sul serio’. Non venisse fermato, scenderebbe subito «al piano».

L’agiatezza e la nobiltà dovute al padre fanno esplodere in Butterfly il terrore per un futuro di povertà e di degrado morale il cui pensiero diventa progressivamente insopportabile. Sembrerebbe addirittura che il figlio sia un’involontaria concausa di un destino che le si profila orribile. Comunque sia, la decisione per un eventuale suicidio della protagonista prescinde dal pensiero del figlio, e, dunque, da una permanenza presso di lei che non può essere ancora messa in discussione.

Se dispiace infierire contro la povera Butterfly, non si può essere del tutto insensibili all’orgoglio e all’egoismo di cui lei stessa si fa coscientemente portavoce. Una madre che pensi coscienziosamente a cosa ne sarà di una creatura debole e innocente deve ‘rimboccarsi le maniche’, e piuttosto, male che vada e certamente poco ‘femministicamente’, sposare Yamadori.

 

costume del Principe Yamadori
Costume del Principe Yamadori

Il vero valore che doveva essere professato in questo contesto è uno spirito di abnegazione e di sacrificio che però non fa ormai più parte dell’universo psichico di Butterfly.

Ma le esigenze teatrali di Puccini e del pubblico del suo tempo non potevano o non sapevano fare un’opera che rispecchiasse le più profonde logiche della morale materna. Puccini stesso ci dice che «non è di grande interesse la stessa, esaltata da secoli, virtù». Impensabile pensare, a maggior ragione nella nostra epoca dai tanti diritti e pochi doveri, al grigiore quotidiano di una Butterfly che si prostra alla gente di strada, che allieta un altro marinaio o che per mero calcolo si unisce a Yamadori.

Insopportabile per un grande pubblico, anche dei nostri giorni, pensare ad una Butterfly ‘ridotta’ in questo stato, ma viva. Meglio eroina e morta, senza poi pensare a quel figlio che potrebbe spendere i suoi giorni ai margini di un’esistenza dignitosa. Questa drastica divaricazione fra etica morale e teatrale è sintomatica delle ‘regole’ della grande comunicazione, il cui successo poggia sempre su un occultamento della logica, del vero sentimento e magari della vera ‘bontà’.