Lucca e il suo “atmosfero”

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Lucca e il suo “atmosfero”

Con questo scritto la redazione di LuccaMusica rende omaggio al caro amico Riccardo Ambrosini nel decennale della  sua scomparsa,  grande glottologo e linguista di fama internazionale, che collaborò in passato con la rivista.

 Il Direttore Francesco Cipriano

 

Ho ancora nella memoria, a distanza di sessant’ anni, un apprezzamento su Lucca di un militare americano che, a metà settembre ’44, poco dopo la liberazione della città, incontrai alla Stella Polare, nella mia fuga da un centro di rastrellati nei pressi dalla linea gotica. Nel sollievo da un incubo e nella rinnovata speranza di vita che allora si respirava, io e mio padre ci eravamo concessi un caffè (o quello che allora passava per tale) a un tavolino di fronte al Cortile degli Svizzeri e ai platani che incorniciano Piazza Napoleone, preparandoci al cammino piuttosto lungo per arrivare pedibus calcantibus alla nativa Livorno, quando ci chiese di sedersi  con noi – non so se per curiosità o per il bisogno di comunicare con qualcuno che aveva squadrato come possibili interlocutori – un militare, forse graduato, col quale, tutti e tre stanchi di cannonate e di macerie, iniziammo un dialogo veramente “liberatorio”.

Piazza Napoleone dal Bar Stella Polare
Piazza Napoleone dal Bar Stella Polare

Era sorpreso della sostanziale incolumità di Lucca (colpita dal bombardamento presso la stazione dell’epifania del ’44) della quale, specialmente  confrontandola con le distruzioni che avevano sfigurato Livorno e Pisa, nell’ italiano approssimativo che intrecciava con il suo slang e con un poco di spagnolo, disse che “ha un  atmosfero”.

Mi è rimasta nella mente quella frase anche perché per la prima volta, dal tempo delle lezioni impartite alla sera dall’EIAR, sentivo parlare quell’inglese che, sino ad allora, compitavo sui libri e che in quel momento fluiva con un tono ben diverso dalle secche frasi tedesche pronunciate da rigidi comandanti del centro che avevo lasciato al crollo del fronte che, pochi giorni prima, giungeva a San Piero a Vico e a Monte San Quirico, tant’è che incontrai le prime jeeps dei “liberators” all’altezza di Ponte del Giglio. Con un sergente tedesco, circa una settimana prima, avevo scambiato, sì, qualche parola “umana”  sulla sorte che ci attendeva, fingendo di avere paura dei Maurer, che, come egli ben sapeva, formavano la prima linea dell’avanzata USA. Ma era un colloquio, quello, diretto in maniera assoluta da lui: io cercavo ostinatamente di nascondere la mia speranza di non vederlo più e, per non compromettermi, mi associavo al corso delle sue parole anche per il rispetto che mi infondeva il manico della bomba che, con indifferenza, si faceva saltellare da una mano all’altra, provocando un pur contenuto panico in mia nonna che assisteva alla scena.

Bar Stella Polare
Bar Stella Polare

Quello che, invece, intrecciavo  allora alla Stella Polare (ne scoprii l’esistenza in quella circostanza) era un dialogo tra pari, anche se ciascuno di noi  aveva storia e idee diverse. Ma non potei non dissentire da lui su quello che pensava di Lucca. Paragonandola a Siena e Firenze, la giudicava più apprezzabile perché aveva “un atmosfero”, una continuità formale e forse spirituale che quelle città, pur non meno belle, a suo parere non possedevano con altrettanta armonia – un’armonia che si è ripetuta nel tempo, tanto da poter assemblare monumenti di più di un’età, anche lì dove eravamo seduti, dall’Antelminelli al Nottolini. Le aggiunte che si erano succedute, infatti, non avevano mai contrastato le strutture precedenti, con le quali, forse anche inintenzionalmente, hanno costituito una mirabile continuità, producendo un’armonia diacronica, se è possibile pensarne una non limitata nel tempo ma articolata attraverso di esso.

Eppure la mancanza di stonature, l’ “atmosfero” notato dall’ignoto americano come caratteristica di Lucca per l’armonia della sua urbanistica e del suo paesaggio, la si potrebbe pensare come parallela (se non addirittura un incentivo e non solo un riflesso) alla ricerca di armonie musicali, quelle “recondite armonie di bellezze diverse”, sì, ma confuse dall’arte “nel suo mistero” nella romanza di Mario Cavaradossi.

6) tosca

Si pensi soltanto alla storia dei Puccini, al colloquio con i tempi delle loro attività, al continuo confronto con gli sviluppi musicali delle rispettive epoche, contenendoli nell’àmbito di una tradizione sentita come necessaria per la comunicazione sincera e chiara di idee e immagini musicali. Nella Turandot le dissonanze, pur presenti, sono moderate (quasi direi, temperate) e quasi sfuggono al vero destinatario del messaggio, il pubblico nella sua varietà culturale: talune “trovate” si possono considerare un accenno, un’occhiata direi, agli esperti che debbono capirle e valutarle nella loro arditezza, ma che vengono contemperate nell’equilibrio generale, in quell’ “atmosfero” che, se caratterizza l’ambiente di Lucca (“drento” come “fora”), è icasizzato dal noto “ditto” per il quale è “foóso ma prudente” il comportamento dei Lucchesi, che, sino a quando lo sentivano riecheggiare, riconoscevano la “lucchesità” di Suor Angelica dal suono iniziale di campane cittadine che rendeva più vera e credibile una storia ambientata in Spagna.

LIBRETTO SUOR ANGELICA

Non a caso, secondo il maggior filosofo dell’Italia moderna, “la storia è sempre storia contemporanea”, ovvero, secondo il maggior linguista moderno, “c’est le point de vue que crée l’object”.

 

Articolo pubblicato su LuccaMusica cartaceo nel febbraio del 2005